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Il Consiglio dei ministri dell’11 febbraio ha approvando gli emendamenti al disegno di legge in discussione in Parlamento per la riforma della giustizia. Al termine del Cdm si è tenuta una conferenza stampa nella quale il premier Mario Draghi e la ministra della Giustizia Marta Cartabia hanno illustrato le principali novità: «La riforma dell’ordinamento giudiziario e del Csm era ineludibile per la scadenza a luglio del Consiglio ora in carica, ma anche per accompagnare la magistratura in un percorso di recupero della piena fiducia e credibilità». Riforma del Consiglio superiore della magistratura e maggiori restrizioni per le toghe che assumono incarichi politici o amministrativi: sono i due punti cardine del nuovo capitolo sulla riforma della giustizia (il terzo dopo i primi due dedicati al processo penale e al processo civile) che il governo presenterà al Parlamento dopo il Consiglio dei ministri di oggi.
Consiglio superiore della magistratura I componenti elettivi dell’organo di autogoverno tornano a essere trenta: venti togati scelti dai magistrati e dieci dal Parlamento, come era prima della riforma del 2002. Tra i togati due saranno giudici di Cassazione, tredici giudici di merito e cinque pubblici ministeri Il sistema elettorale per i magistrati cambia e diventa misto: quattordici consiglieri saranno scelti con il sistema maggioritario basato su collegi binominali, e verranno eletti i primi due per ogni collegio. Il quindicesimo (un pm) sarà il terzo più votato da individuare attraverso un calcolo ponderato, tenendo conto delle percentuali del bacino elettorale nei diversi collegi. I rimanenti cinque saranno invece scelti tra i giudici con un sistema di voto proporzionale su base nazionale. Per le candidature non sono previste liste, ma ci si baserà su presentazioni individuali, senza necessità di raccogliere firme a sostegno, e per i cinque giudici da eleggere con il proporzionale ci potranno essere collegati tra candidati, ma non sarà obbligatorio. Cambiano anche le regole con cui Il Csm continuerà a nominare i magistrati destinati a incarichi direttivi e semidirettivi. Sarà obbligatorio procedere in ordine cronologico rispetto alle sedi vacanti, per evitare lunghe attese per procedere alle cosiddette “nomine a pacchetto”, cioè la spartizione di più posti tra le diverse correnti, con l’audizione di candidati. Il criterio dell’anzianità dovrà essere “residuale” rispetto alla valutazione del merito e delle attitudini per ciascun posto da ricoprire.
«Porte girevoli» tra politica e giustizia Sarà vietato esercitare contemporaneamente le funzioni giurisdizionali, nonché quelle legate a incarichi elettivi e governativi, come invece può accadere oggi; il divieto riguarderà sia le cariche elettive nazionali che locali. I magistrati che sceglieranno di presentarsi alle elezioni non potranno farlo nelle regioni in cui hanno esercitato la funzione di giudice o di pubblico ministero nei tre anni precedenti (non sarà più possibile, quindi, ciò che è accaduto alle ultime elezioni comunali a Napoli, dove il sostituto procuratore generale Catello Maresca s’è candidato sindaco). Al rientro dal mandato elettorale i magistrati non potranno più svolgere alcuna funzione giurisdizionale, ma saranno collocati fuori ruolo presso il ministro della Giustizia o altre amministrazioni. Questa norma varrà anche per chi rientra da incarichi di governo non elettivi. Per chi si candida e non viene eletto ci sarà un periodo di “moratoria” di tre anni lontano dalle funzioni giurisdizionali prima di tornare a esercitarle; la stessa cosa accadrà per chi viene chiamato a ricoprire incarichi apicali presso i ministeri, con il ruolo di capo di gabinetto, segretario generale o capo dipartimento.